Il Tribunale del Lavoro di Tivoli, nella persona del Giudice Dott.ssa Mariscotti, a seguito di ricorso da me presentato per conto di una docente vincitrice di concorso nella Regione Sicilia e invece nominata in fase B nella Regione Lazio, ha statuito come segue: "dichiara che parte ricorrente aveva diritto all'immissione in ruolo dal 1 settembre 2014 in quanto vincitrice di concorso indetto con decreto n.82 del 2012 presso la regione Sicilia e condanna il Ministero ad adottare i provvedimenti opportuni al fine di consentire l'immissione in ruolo, a decorrere dal primo settembre 2014, presso la Regione Sicilia"; osservando, altresì, come "l'imminente uscita dell'ordinanza ministeriale di assegnazione della sede definitiva ai docenti neoimmessi in ruolo appare idonea a giustificare l'accesso alla tutela cautelare".
Si tratta di una pronunzia che fa giustizia, almeno nel caso già deciso, di una vera e propria 'truffa di Stato' subita da tanti docenti che hanno partecipato ad un concorso indetto per posti d'insegnamento nella propria regione (posti specificamente quantificati nel bando per ciascuna classe di concorso), con promessa di assunzione, al più tardi, dall'1/9/2014; che il concorso medesimo hanno, poi, vinto con pieno merito e a costo di sacrifici personali e familiari (rientrando abbondantemente entro i posti indicati nel bando); ma che non si sono, poi, visti assumere fino a tutto l'a.s 2014/15, ottenendo infine, l'immissione in ruolo, in occasione della fase B del piano straordinario di assunzioni di cui alla legge 107/15, fuori dalla propria regione (in molti casi anche a più di mille chilometri km da casa).
L'Amministrazione scolastica, si è, quindi, resa responsabile di una gravissima violazione del basilare principio di affidamento dei cittadini nella certezza delle situazioni giuridiche, più volte riaffermato, nella specifica materia concorsuale, sia dalla Cassazione che dalla Corte Costituzionale (in numerose pronunzie richiamate in ricorso).
Non solo.
L'aggravante è che, com'è noto, candidati che, invece, si erano collocati alle ultime posizioni delle medesime graduatorie di concorso hanno, poi, ottenuto il posto nella propria provincia di residenza (nella c.d. fase C). Con impensabile violazione, quindi, anche del principio meritocratico.
Come suol dirsi: al danno la beffa!
Mi sia permesso allora di dire che, al di là dell'auspicato seguito che la commentata pronunzia del Tribunale di Tivoli potrà avere nelle altre sedi giudiziarie, è davvero mortificante che in Italia si sia costretti ad agire in giudizio (e non tutti, peraltro, ne hanno la possibilità) anche nei casi in cui basterebbe un minimo di buon senso e di correttezza istituzionale onde evitare macroscopiche iniquità.
E' inverosimile, in particolare, che la Ministra dell'Istruzione - anziché esibirsi in acrobatici esercizi di autodifesa, sfoderando ai cronisti la triste e lacrimevole storia della docente universitaria costretta a trasferirsi di sede, ad inizio carriera, "con uno stipendio basso" (chissà come si sarebbe trovata, allora, con quello di maestra elementare?!?) - non abbia sentito, in qualsiasi modo, l'esigenza (anzitutto morale) di individuare un’appropriata soluzione tecnica onde evitare lo smembramento di migliaia di famiglie italiane. Come inverosimile è che non gliel'abbiamo saputo imporre ben quattro sindacati, firmatari dell'Ipotesi di Contratto Collettivo sulla mobilità dello scorso 10 febbraio.
Forse il modesto peso elettorale degli 8.525 docenti nominati in fase B non meritava cotanto sforzo? Addirittura increscioso è, poi, che il Presidente del Consiglio - o molto male informato o molto in mala fede (colpe entrambe gravissime per un Capo di Governo) - fino a pochi giorni addietro abbia avuto l'ardire di dichiarare che i docenti "sono stati assunti tutti nella stessa regione"; dando, così, un ulteriore schiaffo alle tante madri costrette ad attendere qualche giorno di vacanza per poter riabbracciare i propri figli e i propri coniugi (e lo stesso vale ovviamente per i pur meno numerosi docenti di sesso maschile).
E dire che nella nostra Costituzione vi è una disposizione, l’art.37, che solennemente afferma: “Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Già, la Costituzione.. Già, la Famiglia.. Che belle parole di cui fregiarsi negli interventi pubblici..
E chissà che, prima o poi, una di queste docenti girovaganti per l’Italia, dinanzi all’ennesima richiesta di avere giustizia, non si senta redarguire: "Pensi a fare la mamma invece di fare l'insegnante!".